mercoledì 24 febbraio 2021

La chimera - Sebastiano Vassalli

 





La chimera – Sebastiano Vassalli

(…)Ho trascorso due anni della mia vita (il 1987 e il 1988) nel Seicento, e ho raccontato la storia di Antonia (la strega di Zardino) e del vescovo Carlo Bascapè, seguendo l'esempio e l'insegnamento di Alessandro Manzoni che credeva di dover scoprire in quel secolo le radici dell'Italia moderna e del carattere degli italiani. Secondo Manzoni, due grandi avvenimenti del passato, la Controriforma della Chiesa cattolica e la dominazione spagnola a Milano e a Napoli, hanno modificato profondamente la nostra indole e i nostri costumi, facendoci diventare come eravamo ai suoi tempi e come in parte siamo ancora oggi. (…) Manzoni è stato il primo a riflettere sul carattere degli italiani. E il suo romanzo I promessi sposi , oltre a rappresentare il passaggio della lingua italiana dall’uso letterario all’uso comune, doveva raccontare le origini di una nazione che era sempre esistita, tra le Alpi e la Sicilia, ma che sarebbe nata ufficialmente soltanto nel 1861, con il raggiungimento dell’unità politica. Che bisogno avevo, io, di tornare nel Seicento, se già c’era stato un grande come lui, e se già esisteva un capolavoro come I promessi sposi per parlarci delle nostre origini? (…)
Uomo di fede ma anche uomo del Risorgimento, cioè della sua epoca, Manzoni aveva studiato a fondo i vizi e le virtù degli italiani e conosceva bene il nostro carattere nazionale. Avrebbe potuto rappresentarlo al peggio; scelse, invece, di rappresentarlo al meglio, perché l’Italia doveva ancora nascere e si sperava che potesse nascere con il suo aspetto migliore. Perciò il Seicento, che fu un secolo a tinte violente, un secolo terribile, nel suo romanzo è corretto con molto Ottocento. Don Abbondio è un prete contemporaneo del suo autore. I preti della Controriforma, quelli veri, non avrebbero potuto concedersi le sue abitudini e i suoi tic, impegnati com’erano a ripristinare diritti e prerogative che risalivano al Medioevo (…) Anche il cardinale Federigo Borromeo, rispetto al vero personaggio storico, nei Promessi sposi è molto idealizzato (…) Perciò io ho scelto di raccontare una storia del Seicento. Perché tornare in quel secolo dopo Manzoni significava tornarci dopo l’Unità d’Italia; dopo la Grande Guerra e il fascismo; dopo la catastrofe e il naufragio della Seconda guerra mondiale. Quanti Conti zii e don Rodrighi e Innominati, quanti don Ferrante e donne Prassede e fra Cristofori, ma anche e soprattutto quanti Renzi e quante Lucie si erano poi persi, irrimediabilmente, in quel naufragio! Tornare nel Seicento dopo Manzoni significava compiere un viaggio alle origini del nostro carattere nazionale, senza le indulgenze e i correttivi messi in opera da chi, all’inizio dell’Ottocento, doveva parlare di un’entità culturale e politica (...). Avevo messo gli occhi, per il mio romanzo, su una vicenda milanese dei primi anni del Seicento, già raccontata da uno scrittore contemporaneo di Manzoni, Achille Mauri, in una sua opera intitolata Caterina Medici di Brono. (…)