giovedì 21 aprile 2016

Walter G. Pozzi - Carte scoperte


La mente umana cede impotente al risucchio di una storia…” scrive Jonathan Gottschall in “L’istinto di narrare” e i personaggi della finzione narrativa, pur essendo “persone d’inchiostro, che fanno lavori d’inchiostro, vivono in case d’inchiostro, con problemi d’inchiostro e quando si feriscono, sanguinano inchiostro, hanno una presenza reale nel nostro mondo, lo influenzano persino”.

Se un libro riesce dunque a creare una storia e ad animarla di personaggi capaci di narrare, di smovere le coscienze, di indignare –persino- si arriva all’ultimo capitolo con l’impressione di dire addio ad una parte della nostra vita.
Il che non è scontato: in alcuni testi le parole restano solo inchiostro, pagine trasparenti, prive di radici.
Già in altre occasioni ho precisato di aver iniziato un libro in punta di piedi. Leggere di drammi altrui, di vite in bilico e non poter cambiare il corso degli eventi, suggerire vie d’uscita ai protagonisti, agevolare certi percorsi, mi disarma, mi fa sentire impotente. E’ un po’ come se avessi la pretesa di rimodellare il finale di ogni libro che mi passa fra le mani, per renderlo compatibile al mio sentire.
Ma avvicinarmi a “libri per me impossibili” provoca pur sempre la scintilla di cui ho bisogno, di cui mi nutro; equivale a solcare mondi e modi di pensare diametralmente opposti al mio; è l’occasione di far nascere in me nuove domande.
Carte scoperte” di Walter G. Pozzi è un libro tosto, che ho più volte chiuso, proprio per la sensazione di non poter interagire, e poi ho riaperto, costringendomi all’ ascolto.
Un cupo  mondo di personaggi dai nomi originali, a volte impronunciabili, anima un circolino di nostalgici del Pci. La politica per alcuni di loro non è solo uno sfondo, un pretesto per discutere e confrontarsi, ma è un marchio, una necessità, un rimpianto.
Scampoli di vita raccontati attorno ad un tavolo, davanti ad un bicchiere, con un mazzo di carte.
Nel circolo Garibaldi si scandaglia la recente storia italiana, ci si indigna per lo sgretolamento della sinistra, si discute del nuovo mercato del lavoro, di flessibilità, di guerra in Afghanistan, di G8 .
La televisione trasmette in diretta il crollo delle Torri Gemelle: lo sgomento, l’incredulità, il dubbio e “per l’ennesima volta veniva distribuita alla gente una verità unica e indiscutibile…
Il pensiero del protagonista Mario rimbalza subito alla strage di Piazza Fontana: scenari diversi, luoghi geografici agli antipodi, ma stessa sequenze. Il terrore e l’incredulità della gente e l’ immediata reazione dello Stato.
Cos’hanno in comune l’esplosione in una Piazza di Milano di qualche anno prima e i grattacieli di New York violati dagli aerei?... ” stavano ancora per arrivare le ambulanze, e già la polizia spediva i suoi uomini a arrestare gli anarchici “ … Le Torri non sono ancora crollate e già arrivano a raffica le immagini del nuovo nemico-Bin Laden.
Ecco come ”l’invadenza della televisione, la potenza delle sue immagini, contribuiscono a istallare il meccanismo della ‘memoria’ a scapito della Storia”.
Il mio appunto finale va al contrasto umano fra il protagonista Mario, un sessantenne che ha perso famiglia e lavoro  a causa di scelte di vita che non mi compete giudicare, e suo padre, un  ex-partigiano di ferro.
Mario ne esce distrutto; è l’anti-eroe, ai margini della vita. Seppur ripulito dalle colpe passate, Mario non ha saldato i conti con se stesso.
Fugge, continua a fuggire per tutto il racconto e anche oltre.
Sopravvive giocando a carte, ma non vuole “rientrare in gioco”. Sfugge alla burocrazia che ancora gli sta alle costole, diventa un'ombra.
Mario prova pena per il padre “ La Costituzione! La Patria. Povero papà…dovresti vederla adesso, la tua Patria”  ma non fa nulla di concreto perché il mondo cambi. Ha abbandonato ogni sfida.
Il Mondo! Altra parola vuota, come lo erano anche Società, Buon Senso, Famiglia, Patria, Dio…Certo, la sua esperienza aveva trasformato queste parole in sacchi flosci che, qualunque contenuto provasse a mettere loro dentro, si ostinavano a non stare in piedi. E lo colpiva come, passando gli anni, il numero delle parole prive di consistenza fosse andato aumentando. Ma doveva essere così solo per lui, dato che, per molti suoi conoscenti, le parole sembravano al contrario solidificarsi e quei sacchi diventare sempre più pieni.
A Mario è mancata anche, soprattutto, quella definizione per il quale il padre tanto ha combattuto: IDEALISTA: “ Il padre stava compilando le parole crociate quando si era platealmente arenato su questa definizione : individuo che insegue sogni irrealizzabili. Nove lettere, delle quali quattro già scritte : d a st.
Il cruciverba rientrava nella parte ludica in un quotidiano a tiratura nazionale, filogovernativo con ambizioni di imparzialità…E in questo particolare risiedeva la ragione dell’irritazione paterna. Non poteva credere che la parola nella quale si era identificato per una vita rispondesse ad una simile definizione…. leggi, questa è la definizione giusta: mosso da un altro fattore
’’  ( da un vecchio vocabolario edito nel 1972) . E sempre il padre, a ribadire il suo sdegno: 

 Non mi interessa l’intenzione dell’imbecille: conta il risultato. Il problema non sta nel fatto che pensino, ma proprio nel fatto che non pensino. Secondo questo ’’solamente un cruciverba’’ negli ultimi trent’anni io mi sono trasformato, senza accorgermene, in un povero cretino!”.