venerdì 24 febbraio 2017

Silenzio - Shusaku Endo



"Se Dio non esiste, come può un uomo sopportare la monotonia del mare e la sua crudele indifferenza?"





Chinmoku” - “Silenzio” , pubblicato nel 1966, tradotto in italiano nel 1972, ambientato nel XVII secolo, è uno dei tanti specchi, uno degli innumerevoli punti di vista – in questo caso di un autore giapponese/cattolico, che ci mostra come la cultura dell'Occidente si sia scontrata con il mondo dell’Oriente.
Più in particolare, il mirino è qui puntato sulla responsabilità dei padri missionari che, nel tentativo di evangelizzare popoli lontani per radici culturali, ne hanno infranto regole millenarie.
A chi addebitare le persecuzioni dei cristiani in Giappone? Chi deve portare il peso del sangue versato: i missionari e la novità contenuta nel loro annuncio apostolico, la loro fede, la loro immagine di un Cristo buono e misericordioso? I funzionari, i governatori locali? O, piuttosto, quel Dio-Padre che, chiamato, implorato, cercato negli angoli più remoti della Terra, non dava segni di esistere?

Kyrie eleison! Signore abbi pietà!...un uomo era morto. Eppure il mondo esterno andava avanti come se non fosse successo niente!”.

Quale rapporto esiste, o può sussistere, fra Cristianesimo e Cultura giapponese?

“...un albero- dice il governatore di Chikugo- che fiorisce in un certo tipo di terreno può rinsecchire se il terreno viene cambiato. Quanto all’albero del Cristianesimo, in un Paese straniero le sue foglie possono crescere fitte e i boccioli possono fiorire, mentre in Giappone le foglie diventano secche… Padre, ha mai pensato alla diversità del suolo, alla diversità dell’acqua?

E ancora , da padre Ferreira, il gesuita la cui abiura creò scalpore a Roma – “ I giapponesi non sono capaci di pensare a Dio completamente scisso dall’uomo… chiamano con il nome di Dio qualcosa che ha lo stesso genere di esistenza dell’uomo. Ma quello non è il Dio della Chiesa. …L’albero che avevo portato è marcito in fretta sino alle radici in questa palude. E per molto tempo io non l’ho saputo né notato.”

Silenzio” è “il titolo” , è il fil rouge di quest’opera di Endo.
Silenzio” è ciò che accompagna il viaggio di due padri che salpano nel 1638 dalle foci del Tago diretti in Giappone, alla ricerca della verità su quel loro padre spirituale, tale Cristovão Ferreira, che pare abbia abiurato sotto tortura, dopo oltre trent’anni di missione.
Il “Silenzio” è la risposta di Dio.

(…)Lettera di Sebastiano Rodrigues -“Sono già trascorsi vent’anni da quando si è scatenata la persecuzione; lo scuro sangue dei preti è corso a profusione; le pareti delle chiese sono crollate; e difronte a questo sacrificio…Dio è rimasto in silenzio.”
…”la sensazione è che mentre gli uomini levano la loro voce angosciata, Dio rimane in silenzio, a braccia conserte.
…”al pari del mare, Dio era silenzioso…Se Dio non esiste, come può un uomo sopportare la monotonia del mare e la sua crudele indifferenza?...quale assurdo dramma diventano le vite di M. e I., legati al palo e lambiti dalle onde…Sapevo bene che il principale peccato contro Dio era la disperazione, ma il silenzio di Dio era una cosa che non riuscivo a penetrare.”

E ancora, da quel padre Ferreira che  aveva abiurato non perché sottoposto alle più terribili sevizie, ma perché catturato e costretto a sentire “le voci di quella gente per cui Dio non ha fatto nulla. Dio non ha fatto assolutamente nulla. Ho pregato con tutte le mie forze, ma Dio non ha fatto nulla… Signore, è adesso che dovresti infrangere il silenzio.

Poche righe prima di chiudere il suo romanzo, attraverso la voce di un missionario apostata, partito dal Portogallo con la certezza di approdare in un Paese nuovo in cui vivere e predicare come fosse in Patria, nella sua Patria, ipotizza Endo
  “…nostro Signore non ha mai taciuto. Anche se avesse taciuto, la mia vita fino a questo giorno avrebbe parlato di lui”.


a.t.

mercoledì 25 gennaio 2017

La buona terra - Pearl S. Buck


"La buona terra dei campi guarì Wang Lung del suo amore tormentoso, così come già l'altra volta, al ritorno dalla città del Sud, essa lo aveva consolato e sanato"


   
La forza di questo testo del 1931 sta nella narrazione, potente e realistica.
Vincente il fatto d’aver creato una trama ricca di particolari, che si snoda attorno a personaggi credibili.
Pearl Buck, una scrittrice statunitense nata in Virginia nel 1892 e trasferitasi in Cina con i genitori, missionari di fede presbiteriana, conosce, per averla vissuta sul campo, la storia più recente di questo immenso Paese. La sua produzione letteraria è notevole ( le viene assegnato un Oscar nel 1938). Persino il cinema americano nel 1932 si interessa a questo libro, ma la sua traduzione in pellicola sarà boicottata dai dirigenti locali di Shangai, sede di parte dei teatri di posa. La scelta di far vestire le comparse e i protagonisti, che avrebbero dovuto rappresentare il degrado delle campagne cinesi, di abiti lindi e quella di rendere il finale del testo meno tragico, si commentano da sole.
Nel 1937 "The Good Earth" esce nelle sale americane, su produzione della Metro Goldwyn Mayer.
Teatro e fil rouge del testo è la zona settentrionale della Cina, colpita da carestie, dilaniata dal banditismo, divisa fra il lusso di poche famiglie proprietarie di immensi appezzamenti di terreni e la povertà del popolo, analfabeta, affamato, rabbioso, rassegnato.
Il periodo è quello che precede la Rivoluzione Culturale, che scardinerà radici e tradizioni millenarie.
Protagonista del testo è un contadino, Wang Lung, ma a tratti è la sua terra a strappargli le luci sul palco.
La “buona terra”, alla quale egli si aggrappa per sopravvivere, alla quale torna dopo la scelta di spostarsi verso Sud per sfuggire alla fame, alla quale destina ogni soldo duramente guadagnato. La buona terra guarisce ogni sua ferita, lo riporta alla vita, lo trasforma solo esternamente in un invidiato possidente, quando, divenuto vecchio, “ …si era stabilito in città; ed era ormai ricco. Tuttavia le sue radici continuavano ad essere nei campi…”.
La storia è un susseguirsi senza tregua di carestie, alluvioni, malattie.
Gli dei, a cui ogni famiglia del luogo dedicano un piccolo tempio, stanno a guardare impassibili, vestendosi o svestendosi di doni, a seconda del momento, del dramma impellente, della gioia a cui render grazia.
E quali parole per descrivere la scelta della moglie del protagonista di uccidere una delle figlie appena nata, proprio in quanto femmina, proprio perché giunta in un momento in cui altre bocche andavano sfamate e la famiglia era in procinto di trasferirsi.
Di finzione letteraria trattasi, ma la storia di questa famiglia chissà a quante famiglie è realmente appartenuta, chissà se anche le nostre precedenti generazioni, quelle che hanno abitato le nostre campagne, seppur in circostanze e in tempi differenti, l’hanno provata e vissuta.
L’ostinata scelta di servire i genitori e i parenti anziani come fossero divinità, a costo di togliere cibo e attenzioni alla prole più piccola, altro tema che lascia impreparati.
Alle donne la scrittrice dedica molte pagine, alle donne delle campagne, quelle i cui piedi non vengono legati, ma solo perché possano camminare saldamente, perché esse sono mezzo per riprodurre, per accudire. Sono figlie, spose, schiave, merce di scambio; vendute, barattate, abbandonate per disperazione, per mancanza di dignità a loro mai riconosciuta. Tacciono molte di loro e si consumano fra parti e condivisione dei duri lavori nei campi con i mariti, padroni analfabeti e violenti.
Subiscono, una volta non più in grado di generare, l’umiliazione di esser rimpiazzate da concubine giovani, vittime a loro volta di infiniti soprusi.
La storia della famiglia di Wang Lung procede fino al riscatto, alla possibilità di far studiare i figli, affinché siano utili agli affari del padre, gli stessi figli ai quali il protagonista si rivolge, ormai vecchio,   ammonendoli: “Se vendete la terra è la fine.”
a.t.


mercoledì 18 gennaio 2017

Leonardo Caffo - La vita di ogni giorno




(…) In qualche modo l’etica si occupa del movimento "a gruppi" che soggiace alla formazione degli stormi. Gli uccelli in formazione sono uno degli spettacoli più ipnotici e affascinanti che la natura possa regalarci. Migliaia di volatili della stessa specie che si uniscono e si muovono come in una sinfonia eseguita alla perfezione.
(…) Nell’architettura dello stormo non c’è alcun controllo generalizzato, quale potrebbe essere quello indotto da un leader. Tutte le decisioni del gruppo sono determinate collettivamente, attraverso un meccanismo che amplifica la fluttuazione locale. In altre parole, ogni elemento prende come riferimento l’elemento più vicino a lui, cercando di allinearsi nella stessa direzione. Da millenni l’etica cerca di spiegare il comportamento collettivo(…) Tra i viventi di questo Universo vi è un continuo processo di interazione. L’etica, come teoria dello stormo, è il punto di partenza per costruire la vita politica e civile. L’essere umano vive e sopravvive perché ha fatto della fiducia un automatismo alla base della condivisione degli spazi sociali.
(…) La realtà sociale regge, ci regge e ci sorregge. Ogni giorno usciamo di casa sicuri di trovare un autobus che ci porterà al lavoro, un ufficio aperto, luci che illuminano le strade, cassonetti svuotati…
Questa sicurezza, questa certezza che ci sia e ci sarà sempre un movimento a stormo, all’interno del quale ognuno di noi segue un compagno per indirizzare il corpo unitario che componiamo verso un obiettivo più grande, è l’etica.
(…) L’etica non ha dunque come campo d’indagine il dovere ( perché dobbiamo agire, scegliere, decidere…?), ma il "movimento in quanto movimento" ( perché agiamo, scegliamo, decidiamo…?)…