mercoledì 17 febbraio 2016

José Saramago - Le intermittenze della morte



«Sapremo sempre meno che cos’è un essere umano»



Le intermittenze della morte – un romanzo ironico e sarcastico sul tema della morte e della sua temporanea latitanza, in cui un evento assurdo finisce con il diventare logico.

«Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti enorme turbamento…»
Con questa affermazione si apre il romanzo di José Saramago (1922- 2010) narratore, drammaturgo e poeta portoghese, premio Nobel per la Letteratura nel 1998.

L’ambientazione è omessa: la morte si è presa una pausa, regalando un'inaspettata eternità in un Paese non definito, ai confini del quale il ciclo della vita continua invece ignaro. L’evento narrato possiede uno sfumato tempo d’inizio, che coincide con la mezzanotte di un 31 dicembre, e una fine inusuale, che si trasforma in un tempo sospeso.
Attorno a questo fatto irrazionale ruota il romanzo, interamente scritto, quale tratto distintivo dell’autore, in assenza dei convenzionali segni di punteggiatura , con discorsi diretti e indiretti che si fondono in lunghe frasi senza pause.
Lo stile narrativo contribuisce a creare pathos, ma pure ad appesantire, a tratti, la lettura.

La morte, volutamente, è scritta e si firma essa stessa con l’iniziale minuscola, perché «le morti di ciascuno sono morti per così dire dalla vita limitata, subalterne, muoiono con colui che hanno ammazzato, ma al di sopra di esse ci sarà una morte più grande, quella che si occupa dell’insieme degli esseri umani… Quella che distruggerà l’universo, che realmente merita il nome di Morte, anche se quando ciò accadrà non si troverà più nessuno a pronunciarlo…»

Un’assenza e una presenza si alternano in tutto il romanzo: manca la morte come fatto e compare materialmente la morte nelle vesti di uno scheletro prima, di una donna successivamente.
I personaggi, legati insieme da questa paradossale situazione, restano in vario modo intrappolati a progettare e ragionare intorno alla nuova e anomala realtà. L’ immortalità presto si trasforma in dramma e le tragedie singole si intrecciano ai dolori collettivi.
 «In tal caso, intervenne un filosofo dell’ala ottimista, perché vi spaventa tanto che la morte sia finita, Non sappiamo se è finita, sappiamo solo che ha smesso di ammazzare…»

Il decadimento umano però non si ferma: la malattia non è sconfitta, gli incidenti, le sofferenze, i dolori continuano. La classe politica è preoccupata e sconcertata di fronte a cambiamenti epocali che non è in grado di gestire, arrivando a prendere accordi con una non ben identificata maphia. La Chiesa appare sgomenta di fronte alla notizia: non può più predicare la vita eterna dell’anima giacché i corpi stessi sono diventati eterni. Per la «dottrina» l’assenza della morte diventa immediatamente più insopportabile della sua presenza.

«Senza morte, mi ascolti bene, signor primo ministro, senza morte non c’è resurrezione, e senza resurrezione non c’è chiesa»

Nel gioco di situazioni imprevedibili la voce narrante lascia talvolta spazio a quella dell’autore che chiede complicità ai lettori, lanciando una sfida: accettare le sue proposte narrative, perché diventi coerente il fatto assurdo. Come in altre opere Saramago, attorno a un evento surreale, ricrea una storia di cui è superfluo chiedersi il motivo. Scandagliare il pensiero umano è il suo unico fine narrativo.

«E’ così che solo un’educazione raffinata, di quelle che ormai stanno diventando rare, unitamente, forse, al rispetto più o meno superstizioso che la parola scritta suole infondere nelle anime timorate, abbia portato i lettori, benché non mancassero loro i motivi per manifestare espliciti segnali di mal repressa impazienza, a non interrompere quello che abbiamo fin qui riferito…»

Anche lo scrittore prende la parola in merito alla morte: «A proposito, non resistiamo a rammentare che la morte, di per sé, da sola, senza alcun aiuto esterno, ha sempre ammazzato molto meno dell’uomo»
E la stessa morte, quasi a scusarsi con l’umanità intera: «C’è un punto su cui mi sento in obbligo di riconoscere il mio errore, il quale punto ha a che vedere con l’ingiusto e crudele procedimento che stavo seguendo, vale a dire togliere la vita alle persone a tradimento, senza preavviso…» 

La parentesi di eternità dura sette mesi, dopo i quali la morte torna dunque all’opera grazie a missive dal colore violetto.

«D’ora in poi tutti quanti saranno avvertiti e avranno la scadenza di una settimana per mettere in ordine quanto ancora gli resta di vita…»

Ancora la voce dell’autore, quasi a ribadire l’assoluta ovvietà dei fatti e a chiedere  consenso ai lettori: «Ma la morte non ha alcuna necessità di essere crudele, a lei, togliere la vita alle persone basta e avanza… E ora, concentrata come dovrà essere sulla riorganizzazione dei suoi servizi di appoggio dopo la lunga sosta di sette mesi, non ha occhi né orecchie per le urla di disperazione e di angoscia degli uomini… e delle donne che, uno dopo l’altro, vengono avvisati della morte prossima...»

Senonché anch’essa, dopo aver dichiarato «io sono la morte, il resto è nulla» incappa in un imprevisto e deve vestire i panni di una vulnerabile donna, che condurrà il lettore a un finale non scontato, legato a una lettera rinviata al mittente per tre volte.

(Pubblicato su VORREI - culture- 15-06-2013)

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